ANGELO BOZZOLA. Un maestro del 900

 ANGELO BOZZOLA. Un maestro del 900

a cura di Emiliana Mongiat

 

SANTA MARIA MAGGIORE

LA MATERIA E LE GEOMETRIE

Introduzione

La vastissima bibliografia che riguarda l’artista galliatese Angelo Bozzola (1921-2010) proposta in appendice, comprensiva di voci autorevoli come quelle di Michel Tapié, Marco Rosci, Gillo Dorfles, Luciano Caramel fino ai recenti contributi di Vittorio Sgarbi, Martina Corgnati, Elena Pontiggia che ne analizzano l’intero percorso artistico1, rende arduo l’impegno di aggiungere nuove osservazioni ad un’analisi concettuale e storica già completa e approfondita.

Un percorso, quello di Bozzola, svolto con continuità e rigore sia nella dimensione artistica sia in quella umana e speculativa per tutta la durata della sua vita, senza mutare l’asse di lavoro, senza lasciarsi coinvolgere dal successo incontrato come artista e come imprenditore a partire dal 1947, anno in cui fondò un mobilificio che diresse e nel quale operò per lungo tempo. Impresa che fu «fonte economica della sua libertà. Quella famosa libertà dell’artista che gli illuminava gli occhi e che lo portò a dire (molte volte più del necessario) tutta una serie di no che certo non lo aiutarono a conquistare simpatie e consensi commerciali nel mondo del mercato dell’arte», in un momento storico quanto mai denso di proposte culturali e in forte sviluppo. E se Angelo Bozzola è stato uno dei Maestri italiani più importanti nel panorama artistico italiano della seconda metà del Novecento, a maggior ragione lo è stato per il territorio novarese a cui, al pari di grandi artisti del passato, ha fornito quei collegamenti nazionali e internazionali4 che hanno consentito all’ambito locale di mantenersi in sintonia con il processo di sviluppo dell’Italia del dopoguerra. Ma non è questa l’unica ragione. Il suo legame con il territorio è molto più profondo, non solo perché intimamente legato alla terra -come documentano i suoi scritti- ma anche perché è stato uno degli ultimi artisti ad essersi formato presso quell’Istituto d’Arti e Mestieri, che dal 1837 era stato polo scolastico professionale di qualità così elevata da poter mantenere inalterati i propri orientamenti didattici fino intorno agli anni Quaranta del Novecento. Frequentando quella scuola Bozzola aveva acquisito una preparazione che aveva in sé alcune tradizioni culturali dell’Ottocento, nella quale il disegno d’ornato veniva proposto facendo riferimento alle tavole e ai volumi di cui era fornita la ricca biblioteca (dalla raccolta di decorazioni dell’Albertolli a quelle di Bourgoin, Racinet, Tanbinger), che prevedeva un accostamento diretto ai materiali attraverso le attività di laboratorio e che aveva nella geometria l’elemento speculativo principale. Proprio gli elementi sui quali Bozzola impostò il proprio percorso artistico. La sua personale inclinazione all’osservazione e alla speculazione matematica, il suo profondo interesse per le logiche di sviluppo degli elementi naturali lo portarono a frequentare Nino di Salvatore avvicinandolo alle teorie gestaltiche, da questi diffuse attraverso il “Centro Studi Arte-Industria” fondato a Domodossola e a Novara. Bozzola cominciò così ad indagare e sperimentare in prima persona le relazioni fra i colori e quella «sintesi delle arti plastiche» che faceva della forma l’elemento speculativo principale, realizzando schizzi, disegni, dipinti con una attività frenetica, svolta prevalentemente nelle ore serali.

Il percorso artistico

La successiva adesione di Bozzola al MAC (Movimento per l’Arte Concreta, fondato a Milano nel 1948 da Gillo Dorfles, Bruno Munari, Atanasio Soldati)  avvenuta nel 1954, conferma la sua condivisione dei principi artistici delle avanguardie concretiste, anche tenendo in considerazione le osservazioni esposte da Giorgio Caione, che sottolinea come nel MAC molti fossero i designers e gli architetti esponenti, «di quel clima culturale italiano del dopoguerra in cui convivevano arte e industria, creatività e spirito imprenditoriale, semplicità di animo e consapevolezza culturale»6, che contribuirono alla formazione di quell’humus che fu alla base del boom economico dei primi anni Sessanta. E fu all’interno del MAC che trovarono spazio quelle complesse ricerche di interazione fra gli ambiti pittorici, plastici e dell’arte applicata che risultarono particolarmente stimolanti per l’artista galliatese che negli anni Cinquanta era impegnato a trovare  una sua forma personale, una matrice in grado di fornire possibilità compositive suscettibili di sviluppo, a cui giunse nel 1955. La monoforma trapezio-ovoidale rispondeva perfettamente ai principi dell’arte concreta, a quell’astrazione e a quell’armonia formale prive di ogni riferimento alla realtà e interpretazione emotiva del soggetto, basata su regole di  equilibrio compositivo, strutturale e cromatico. Essa era diventata da subito l’elemento base per la creazione di composizioni variabili all’infinito, che Bozzola realizzò tagliando, bucando, incidendo piegando, dipingendo materiali differenti, dalle carte alle lastre metalliche, ferro, plastica, acciaio, granito, marmi, utilizzando persino i sassi del vicino fiume Ticino. Le sue strutture, a partire dai Multipli e Sottomultipli degli anni 1959-60, rispondevano a regole ben precise, avvicinandosi a quei principi di prassi combinatoria genetica che regolano la riproduzione cellulare ben indagata da Martina Corgnati.

Il fondamentale incontro con Michel Tapié, avvenuto a Torino nel 1964, spinse Bozzola a intensificare la ripetizione insita nell’idea di base del suo operare e, attraverso la moltiplicazione delle variabili compositive della monoforma, diede vita ad un “algoritmo” in cui le componenti di spazio, di tempo, di superficie e di colore si intersecavano e si compenetravano. L’esemplificazione più significativa di è rappresentata dall’opera Polittico, realizzata nel 1967. E se con Polittico le composizioni di Bozzola si aprirono alle componenti simboliche -insite nella definizione, nelle combinazioni numeriche, nella presenza dell’oro- fu con le tavole

Spazio-Tempo del 1972 che esse acquisirono significati ancor più universali, identificandosi con il ritmo sempre più vertiginoso impresso al tempo dalla vita contemporanea, con quell’ansia del vivere che stava invadendo l’uomo.

Fu proprio a partire da quegli anni che Bozzola iniziò a operare su livelli di indagine più profonda, che sempre più indagavano quelle caratteristiche relazionali umane che l’arte concreta aveva suggerito di accantonare. Così, in quegli anni, la sua monoforma da elemento prevalentemente compositivo razionale e geometrico si sta trasformando in ‘altro’, come segnalano Spazi barocchi (1966) e, soprattutto, il libro scultura Tecnoscultura-operazionabile con il quale l’invito alla trasformazione contenuto nel Polittico diventava strumento operativo diretto, gioco colto, «incantesimo estetico» (per usare le parole di Michel Tapié) che coinvolgeva l’utente in prima persona. La costruzione di relazioni delle proprie opere con l’esterno in Bozzola si accentuò ancora di più negli anni successivi, come esemplificano le creazioni in pietra e in metallo realizzate fra gli anni Ottanta e il Duemila: in esse la monoforma viene utilizzata sempre più spesso come elemento di un linguaggio formale che, inciso e colorato di bianco o di oro, si distende sulle superfici, si innalza verso il cielo, diventa chiave di passaggio magico-simbolica per mondi sconosciuti e infiniti.

Al termine del proprio percorso umano ed artistico, perciò, Bozzola assegna al termine ‘concreto’ significati diversi, non vincolandolo solo alle ricerche formali ma attribuendogli accezioni più vaste: accanto alla concretezza della materia e della logica generatrice della natura, da lui sempre riconosciute, indagate, utilizzate, ora il termine comprende anche quella necessità -tutta concreta nelle sue manifestazioni- che l’uomo ha di costruire relazioni con i suoi simili, con gli oggetti che usa, con lo spazio in cui è immerso, con il mondo in cui vive.

Le mostre e il catalogo

Nonostante le opere di Angelo Bozzola siano distribuite in due luoghi espositivi diversi, Santa Maria Maggiore e Stresa, il catalogo proposto è unico: non solo per sottolineare la contemporaneità e la complementarità degli eventi ma anche la continuità del percorso di ricerca dell’artista.

L’esposizione di Santa Maria Maggiore, suddivisa in cinque sezioni che corrispondono alle sale espositive, ha come elemento di connessione l’uso e la sperimentazione che l’artista ha attuato con i materiali, ritenuto uno degli elementi fondanti della ricerca di Angelo Bozzola. Quella di Stresa, che presenta opere di grandi dimensioni, è stata suddivisa sul catalogo in due sezioni, che mettono in luce l’altro elemento caratteristico del suo ‘fare arte’, cioè la prassi metodologica che esprime la logica del suo pensiero artistico. Nella prima sezione sono state raggruppate quelle sculture che trovano il loro significato nella riorganizzazione del modulo principale, attraverso tagli e pieghe della superficie della lastra; nella seconda quelle ottenute ripetendo il modulo per incastri e connessioni, che originano strutture tendenti all’infinito, verso il cielo.

 

Dalla geometria la nascita della monoforma trapezio-ovoidale

 

La continua, intensa ricerca progettuale e sperimentale, avviata da Angelo Bozzola nei primi anni Cinquanta, inizia con schizzi e composizioni tracciati su fogli di carta e cartoncino. Sono questi studi che nel 1955 hanno permesso all’artista di trovare quella forma trapezio-ovoidale, così «perfetta in sé stessa per la sua geometrica essenzialità» da diventare «modulo tematico ed elemento costruttivo» di ogni sua «ulteriore creazione pittorica e plastica» (A. Bozzola, Riflessioni, ms, sd ma 1965-69).

La serrata e caparbia indagine svolta all’interno delle configurazioni geometriche gli avevano consentito, infatti, di mettere a punto una  forma nella quale i punti di forza degli andamenti circolari e rettilinei avevano originato un insieme osmotico, con cui l’artista avrebbe potuto ottenere strutture modulari infinite, operando sia con i profili sia con le superfici. Le opere esposte in questa sezione evidenziano i vari passaggi concettuali di elaborazione della forma, dalle prime composizioni a matita e a pastelli del 1952-53, a quelle dipinte del 1955-58, alle sculture in metallo del 1956 in cui pieni e vuoti, ottenuti con tagli e fusioni delle lastre, si predispongono a quel colloquio con lo spazio diventato in seguito uno degli elementi centrali della ricerca dell’artista.

 

Le pietre e l’oro

 

L’incontro di Angelo Bozzola con la pietra, avvenuto a partire dagli anni Ottanta, si colloca all’interno di un processo creativo avanzato, nel quale la sperimentazione delle possibilità aggregative e modulari della monoforma aveva già avuto  applicazione nelle strutture in tensione libera e nelle complesse composizioni formali della serie Spazio-Tempo degli anni Settanta, in questo allestimento proposte in altre sezioni. Un incontro rimasto per lungo tempo sospeso: non certo per la difficoltà della lavorazione che la pietra e il marmo avrebbero comportato ma per la loro valenza storica, per quello stretto legame del materiale con la natura che l’artista aveva paura di violare, per quel confronto con l’arte del passato che Bozzola voleva affrontare in modo nuovo. Un incontro tardivo che, però, ha portato ai risultati straordinari esemplificati da queste sculture composte da volumi puri, perfetti nelle loro geometrie, nei loro rapporti proporzionali e cromatici.

Sculture rese preziose dai grafismi che l’artista ha inciso con l’oro sulle superfici di marmo o di granito, in grado di trasformare la sequenza modulare della monoforma in un linguaggio segnico ancestrale, evocatore di antiche magie e ritualità, di cui esempio ultimo sono le Mappe degli anni Ottanta, Novanta, Duemila e al quale rimandano anche i bassorilievi in bronzo degli anni 1980, 1983, 1989.

 

Opere polimateriche e concatenazioni formali

 

Lo scioglimento del MAC nel 1958 aveva probabilmente sollecitato nell’artista una serie di interrogativi e riflessioni sull’ambito delle proprie ricerche che lo avevano spinto a sperimentare modelli aggregativi nuovi e a ricercare tecniche operative inedite. La fine degli anni Cinquanta si identifica, infatti, con le opere polimateriche e le concatenazioni formali che, pur datando dal 1959 al 1962, in questa sezione sono esemplificate solo da quelle realizzate nel 1959.

Le prime possono trovare riferimento significativo in Struttura-Complesso organico, composizione di grandi dimensioni realizzata con rete metallica in ottone, pittura a olio, coloratura con inchiostri trattati con solventi, caolino con vinavil e superficie maculata su tela. In questa  – e nelle altre opere polimateriche esposte le geometrie dei moduli rivelano spinta dinamica, tensioni compositive e dimensione spaziale più incisive, nate dalla urgenza sentita dall’artista di individuare un rapporto strutturale unitario e significativo fra pittura e scultura. Al 1959 risalgono anche i primi Multipli e Sottomultipli, composizioni modulari realizzate tagliando e piegando lastre di metallo successivamente assemblate fra loro con la massima libertà creativa.

 

Il colore dei metalli

 

«Dipinge col fuoco quadri di metallo» aveva scritto Angelo Dragone (in “Stampa Sera”, Torino, dicembre 1966), offrendo una suggestiva immagine di un procedimento tecnico che Bozzola aveva messo a punto già nei primi anni Sessanta per realizzare opere nelle quali il profilo della monoforma viene tagliato, inciso, bucato con la fiamma ossidrica su lastre di acciaio, ottone e rame. Il calore del fuoco, dando origine ad aloni e incrostazioni, crea sulle superfici metalliche sfumature e cromatismi cangianti in relazione alla mutevolezza dell’illuminazione.

Ricerca formale e abilità tecnica hanno portato Bozzola ad ottenere i sorprendenti effetti visivi di opere nelle quali all’unione di metalli diversi si affiancano altri materiali come la carta giapponese, la carta bituminosa, l’inserimento di profili e spazi colorati, l’argento e l’orofoglia oppure la purezza della pietra.

Le superfici metalliche, percorse e attraversate dalla luce, rese leggere dal colore azzurro, illuminate dai bagliori dell’argento e dell’oro, alla fine degli stessi anni Sessanta si trasformano in insiemi sfavillanti nei quali la geometria della monoforma diventa delicato tessuto connettivo fra le sculture e l’ambiente circostante, come esemplifica l’opera bifacciale Spazio (1966) esposta a Stresa.

 

Le carte, la plastica e la Tecnoscultura operazionabile

 

Fra i materiali utilizzati da Angelo Bozzola non potevano mancare la carta e il cartoncino, in questa sezione proposti come elementi autonomi nelle loro caratteristiche di consistenza, cromatismo, opacità. In alcune opere, realizzate negli anni Settanta, l’artista ha usato la carta come superficie unitaria, in grado di sottolineare il rigore della logica della struttura modulare disegnata, completata con varie tecniche grafiche  e/o fotografiche; in altre, invece, datate 1988, egli accosta la carta a materiali diversi per innescare relazioni compositive formali e, soprattutto, tattili, nelle quali l’accento è posto sulla rugosità, levigatezza, porosità,  trasparenza.

Bozzola si era dimostrato interessato anche dalle possibilità espressive offerte dai materiali più nuovi, come la plastica e il plexiglas, con cui nel 1976 aveva creato catene modulari leggerissime e sensibili alla luce per sculture che, come le farfalle, ondeggiano lievi nello spazio. Questi aspetti ludici, forse presenti in misura maggiore di quanto finora emerso nell’opera di Bozzola e qui esemplificati da un gruppo di opere in metallo del 1969  sono stati resi eclatanti dal libro-multiplo Tecnoscultura operazionabile, del 1971, che inserendo supporto e moduli, prevedeva l’intervento diretto del fruitore, invitato a creare personalmente la ‘sua’ scultura.

 

STRESA

STRUTTURE SENZA FINE

Introduzione

L’esposizione delle opere di Angelo Bozzola si completa con la collocazione delle sculture di grandi dimensioni nei giardini sul Lungolago e nelle piazze di Stresa.

Ambientazione che permette alle sue opere di costruire con la natura relazioni così intense e profonde da poter essere «considerate, a pieno titolo, delle manifestazioni totemiche della nostra contemporaneità». È, infatti, in un luogo come questo, fatto di acqua, di aria e di luce, dove più avvertibili sono «le forze della natura e le energie liberate dalla memoria storica»[1], che le sculture di Bozzola possono esprimere tutta la loro potenzialità comunicativa e il loro significato arcano, derivati dal fatto di essere un insieme organico, geneticamente e matematicamente strutturato, in cui matericità, cromatismo, spazialità sono stati pensati per costruire relazioni. Non solo di tipo spaziale e dinamico tese verso l’infinito ma anche umane, in quanto le sculture di Bozzola, aprendosi, allungandosi, distendendosi nell’ambiente in cui sono collocate, si offrono alla vista in tutta la loro semplice e, nel contempo, complessa natura di oggetto artistico. Semplice perché le sculture di Bozzola non nascondono il proprio processo creativo sempre individuabile con chiarezza, quella genesi della struttura di cui sono costituite derivata da una forma base -la monoforma trapezio-ovoidale- composta e ricomposta con tagli e pieghe oppure variamente ripetuta e concatenata seguendo logiche algebriche, geometriche e schemi sintattici modulari; complessa perché espressione di pensieri, di riflessioni sui concetti di tempo e spazio, di scelte personali ed estetiche, di conoscenze tecniche che l’artista ha trasformato in una forma percepibile, fatta di materia, variata nel tempo perché espressione di un processo creativo in continua evoluzione e in continuo  perfezionamento. Un percorso, quello di Bozzola, così rigoroso ed essenziale, così trasparente nelle sue connotazioni concettuali, che trova estrema chiarezza esemplificativa anche nelle opere esposte. Itinerario sostanziato da una ricerca continua all’interno delle logiche combinatorie e nei materiali che, pur trovando un punto di avvio nelle opere degli anni 1959-60 Multipli e sottomultipli, si arricchisce negli anni successivi di continui stimoli operativi.

 

Genesi e sviluppo delle strutture modulari

 

La logica compositiva applicata da Angelo Bozzola, che emerge nitida nelle strutture di grande dimensione in ferro o acciaio, è stata indicata con precisione da Martina Corgnati, che ha sottolineato come quella dell’artista galliatese sia «una prassi combinatoria che sembra ispirarsi ai meccanismi segreti (e all’epoca del tutto ancora “invisibili”) della riproduzione cellulare, alle catene “aperte” degli acidi nucleici» (in Angelo Bozzola…, Torino, 2012, p. 13). A partire dagli anni Sessanta, infatti, Bozzola ha creato moltissime sculture moltiplicando e legando fra loro i moduli della forma base, in alcuni casi ripetendo i punti di congiunzione dei pezzi, in altri tagliando e piegando le superfici. Le opere esposte che rispondono a queste caratteristiche evidenziano le infinite  possibilità compositive e concettuali che la prassi combinatoria permette di attuare. Alcune, del 1955 e 1956, sono compatte, impositive rispetto allo spazio circostante, in quanto ottenute facendo uso di materiali  grezzi e di elementi modulari di dimensioni consistenti; altre, invece, realizzate più tardi, nel 1958 e 1966, si integrano nello spazio, con cui costruiscono mutevoli relazioni attraverso la combinazione di vuoti, di volumi pieni e delle superfici trattate a specchio.

 

Strutture tese verso l’infinito

 

Fra le sculture di Angelo Bozzola collocate a Stresa particolare interesse suscitano quelle completamente immerse nello spazio circostante, eseguite fra il 1962 e il 1983. Esse sono costituite da catene modulari di ferro verniciato che si distendono e si aprono nell’ambiente  o si aggregano attorno ad aste o tensori, da colonne di granito o d’acciaio che si innalzano con orgoglio verso il cielo con cui stabiliscono un intimo dialogo, fatto di lucentezza metallica, di segni e forme incise, di slanci formali di grande impatto visivo. Oppure sono sculture formate da catene modulari libere e fluttuanti nell’aria, appena agganciate ad un sostegno o ad una struttura dalla forma purissima (cerchio, ellisse), modellate dall’aria e dal vento che, insinuandosi fra gli elementi, ne modificano continuamente la posizione e la lucentezza, coinvolgendo in questo rapporto anche l’osservatore. Ne è esempio Variabilità modulare, del 1978 realizzata in acciaio inox e alta 450 cm. La voglia di far diventare le proprie sculture parte integrante della natura in Bozzola era però andata oltre, lo aveva portato ad appendere direttamente le catene modulari agli alberi e, attraverso le immagini riflesse catturate dalle superfici specchianti, ad identificarle con il bosco, il cielo, le nuvole nell’opera Estensione indefinita di progetto estetico ecologico, del 1982-83.

Copertina catalogo
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