Angelo Bozzola. Un protagonista dell’arte italiana del ‘900. Gli anni 50

Un Protagonista dell’arte italiana del ‘900. Gli anni 50

Testo di Giorgio Forni

E’ un vero piacere,nelle vesti di amico e collezionista dell’artista, introdurre questa mostra dedicata al lavoro di Angelo Bozzola negli anni 50, periodo straordinario per il nostro Paese in tanti diversi settori. L’Italia si sollevava allora dalle macerie della guerra con quel fervore di energia, attivismo, fantasia e laboriosità passato come premessa di quel miracolo economico che stupì il mondo.
Le industrie riaccendevano i motori sfornando macchinari ed oggetti per i consumi nascenti di ampie fasce della nostra gente; l’edilizia montava impalcature per nuovi edifici; si disegnavano i progetti per la rete di autostrade capace di far dialogare il nord con il sud; iniziavano i fenomeni di immigrazione per dare braccia ad una economia in crescita. Accelerata dai fondi del piano Marshall e dalla tanta voglia di benessere ed agi che coronassero la libertà riconquistata.
In quel gran movimento delle cose italiane, persino la moda trovò il suo spazio per diventare fenomeno di successo mondiale, a partire dalle celebri sfilate fiorentine del 51, inventate da quel genio che fu il marchese G.B. Giorgini. E con la moda a fiorire fu tutto l’indotto, a monte ed a valle, dell’industria tessile e dell’artigianato di qualità, della pelletteria, della calzatura e del mobile.
Il cinema produceva capolavori e Venezia tornava ad essere l’ombelico delle arti con il rilancio delle Biennali. Le gallerie di Roma e Milano acquisivano un ruolo mai avuto prima di allora: Burri era tornato dalla prigionia americana; Fontana e Melotti cuocevano insieme le loro ceramiche; Lucio firmava con Ballocco, Capogrossi e Colla il manifesto di Origine. Di lì a poco l’altro dello Spazialismo con i veneti capeggiati da De Luigi. Roma suonava le sue campane. Corrente… diceva la sua.
In tutto questo fermento trovò spazio vitale anche il M.A.C. (Movimento Arte Concreta) di cui il nostro Bozzola fu uno dei protagonisti. Timidamente come era il personaggio, forte come una roccia, ma discreto come un gentiluomo di campagna. Bozzola preferiva però la metafora del contadino, con le radici ben piantate nella terra e legato in modo non formale alla natura. Ai graniti come agli alberi, il cui legno stagionato utilizzava per la sua attività di mobiliere, fonte economica della sua libertà. Quella famosa libertà dell’artista che gli illuminava gli occhi e che lo portò a dire (molte volte più del necessario) tutta una serie di no che certo non lo aiutarono a conquistare simpatie e consensi commerciali nel mondo del mercato dell’arte.
Lo conobbi, gigante burbero, in una galleria di Vigevano, dove , con Ballocco e Belmontesi, triade indiscussa del luogo, era arrivato come proposta espositiva di Luciano Caramel, ma anche per farsi fare le cornici; come usavano anche Calderara ed altri autori esigenti.
Erano i primi anni 70 e con Bozzola imparai a conoscere l’altra metà, diciamo così, di un panorama artistico allora dominato dall’informale e dalle pop americana e nostrana, oltre che dal poverismo emergente. Parlo di quell’area di ricerca formale speciale che Munari e Dorfles, la nostra Regina (di Lomellina), Monnet, Colombo e Veronesi si erano ritagliati con caparbio orgoglio, cocktail virtuoso e controllato di industrial design e sintesi delle arti, pepe futurista e profumo di astrattismo lombardo. In questo giardino di essenze forti germogliò la “monoforma” di Angelo Bozzola, quel segno che fu subito codice espressivo e logo dichiarato, quel trapezio ovoidale che, declinato con i successivi sviluppi iterativi, caratterizzò tutta la storia del Maestro. Aperta ad ardite sperimentazioni di fruibilità che lo videro tra i primi a proporre opere interattive, sia in piccola dimensione che in scala monumentale.
Ci fermiamo qui , a questo primo magico decennio, in cui tutta la geniale creatività di Bozzola è già espressa, sia in pittura che in scultura; persino, anche qui in mostra, con una testimonianza delle sue rare incursioni nel mondo del design.
E di nuovo, di fronte a tanta singolare bellezza, torna la domanda nientaffatto retorica: cosa manca, perbacco, ai lavori di Bozzola per essere riconosciuti ed apprezzati al pari delle “forchette” di Capogrossi o dei “buchi” di Fontana?
Mi piacerebbe proprio saperlo.

Copertina catalogo
Condividi